lunedì 18 giugno 2012

La Paura e i suoi racconti nel cinema horror

Sono il peggior incubo che abbiate avuto, sono il più spaventoso dei vostri incubi diventato realtà, conosco le vostre paure, vi ammazzerò ad uno ad uno.
(Pennywise - IT di Tommy Lee Wallace)

Nella foto, S. Spacey in "Carrie" di B. De Palma
Ho un legame particolare con il cinema horror, forse da psicoanalisi. Mi sono avvicinata al genere in età tenerissima, ma solo perché mio padre è un fervido sostenitore della terapia d'urto: vivi le tue paure, materializzale e poi esorcizzale. Come tutti i bambini, vivevo con terrore il momento della messa a letto: quella stanza grande, buia, la solitudine, e non c'erano peluche o lucine sul comodino che tenevano lontane visite di mostri immaginari. E così scappavo: mi rifugiavo ai piedi del letto dei miei o restavo seduta nel corridoio per terra, con la luce accesa, finché i miei non si accorgevano della mia inquietante presenza.

Nella foto, Tim Curry in "IT" di T. L. Wallace"
Stanco di queste nottatacce con un'ombra silenziosa che rischiava di procurargli un infarto, mio padre ha così pensato di darci un taglio e mettermi di fronte alla PAURA, dimostrandomi che era tutto finto, non ci sarebbero stati mostri che mi avrebbero teso agguati sotto il letto e che era solo il frutto della mia immaginazione. Ed è così che a quattro anni abbiamo visto insieme Carrie, lo sguardo di Satana di Brian De Palma: seduti di fianco sul divano, con mia madre sonnecchiante da una parte, mio padre mi spiegava per filo e per segno cosa stava succedendo, sdrammatizzando con qualche risata e con qualche battuta ("Guarda come si vede bene che è tutto finto! Ma quello è pomodoro o tempera!") l'orrore che si consumava nel film. Da allora non ho avuto più incubi, ci credete? Anzi, guardare gli horror è diventato quasi un appuntamento fisso mio e di mio padre, anche negli anni a venire (tutti i vari Halloween, Nightmare, L'Esorcista, Zombie, l'epoca d'oro di Dario Argento, Saw, ecc.). C'è da dire che la (fortunatissima) terapia d'urto messa in pratica da mio padre non ha avuto gli effetti desiderati anche sua mia sorella minore, anzi: dopo aver visto per la prima (e unica) volta la miniserie IT, ancora oggi mia sorella ha serie difficoltà a incrociare il pupazzo di Ronald McDonald quando va a mangiare nell'omonimo fast-food. E da allora in poi, lei e il cinema horror non viaggiano di pari passo, tutt'altro.

Ma perchè ho deciso di parlarvi del cinema horror? Ci sono due motivi, in realtà: il primo è perché ieri pomeriggio ho origliato casualmente una conversazione tra tre quindicenni alle mie spalle, che parlavano proprio di cinema horror e della diversità di percezione che oggi un adolescente ha di un film, magari datato, rispetto a quando questo è uscito al cinema. Il secondo, invece, è perché si avvicina la bella stagione e l'estate è il momento in cui le tv commerciali, soprattutto negli anni Novanta e Duemila, tira(va)no dal calderone perle di film tv horror alquanto gustose, per riempire i magrissimi palinsesti dei cosiddetti "periodi di non garanzia (pubblicitaria)". Voglio stare al passo con i tempi, avete sotto mano un palinsesto? Vi aggiornerò!

Nella foto L. Blair in "L'esorcista" di W. Friedkin 
Ma andiamo solo con il primo punto. Mi ha interessato molto la chiacchierata dei tre ragazzi perché mi ha messo di fronte ad una presa di coscienza molto importante: di quanto la percezione stessa dell'immagine cinematografica, unita a quella del racconto, ci veda oggi più smaliziati e parecchio scettici. Cito proprio l'esempio riportato da una dei ragazzini, quello di L'Esorcista, che, a sua detta, a guardarlo oggi ti lascia perplesso sulla sua effettiva PAURA E pensare che mamme di miei amici (non la mia, perchè è risaputamente cagasotto, soprattutto riguardo a pellicole con diavoli e possessioni...), allora già più che adolescenti, non hanno chiuso occhio per giorni dopo la visione di questo film, hanno vissuto per mesi con l'angoscia perenne. Erano a disposizione, racconta la storia, ambulanze fuori dai cinema per prevenire infarti ai deboli di cuore. E' ovvio, non siamo ingenui, che buona parte della forza di questo film dipendeva allora dal periodo storico-socio-culturale in cui questo si colloca, dove il tema religioso (soprattutto confrontato ad un tema caldo come le possessioni) era alquanto delicato e di certo non facile per parlare di argomenti così scottanti. L'idea che una ragazzina dal faccino tenero venisse posseduta dal Diavolo in persona, ammettiamolo, avrebbe lasciato di sasso un po' tutti, contando, ripeto, il contesto in cui questo film si colloca. 

Nella foto, Heather Donahue in "The Blair witch Project"
E da qui il passo successivo ad una domanda è quasi automatico: cosa ci fa PAURA oggi, se siamo così open-minded sull'argomento "cinema horror"? Facendo un passo indietro dagli anni '90 in poi, ci hanno inquietato, nell'ordine: telefonate da sconosciuti (Scream),  videocamere amatoriali in mano ad adolescenti che si perdono in un bosco alla ricerca di una fantomatica strega (The Blair Witch Project), serial killer psicopatici che, per farci apprezzare davvero il gusto della nostra vita, ci puniscono con prove inimmaginabili (la saga di Saw), squartamenti di sorta (i vari Hostel), ancora esorcismi o possessioni con riferimenti a fatti (pseudo) reali (L'esorcismo di Emily Rose, ad esempio) e presenze casalinghe tutt'altro che rassicuranti (Paranormal Activity), l'utilizzo del 3D per creare maggiore partecipazione (i vari  San Valentino di Sangue o l'ultimissimo e italiano Paura 3D)...eccetera eccetera.

Siamo stati smaliziati per bene da tanti registi, più o meno bravi, che ci hanno reso impassibili di fronte alla paura raccontata al cinema. 

E adesso? Cosa potrà farci paura per ritornare a vivere la paura al cinema? 


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